Roma, assalto poetico alla città. Sono le strade le protagoniste del transitare, dell’indifferenza e del riflusso nei luoghi di aggregazione modellati, oggi, sull’indifferenza sociale. Sullo spartito dell’inerzia dei rapporti umani disidratati, logori, assuefatti, le Schede Letterarie si muovono. Nate dalle schede in formato a5 usate in ambito scientifico, sono state distribuite, dal 20 al 22 gennaio, a Roma, all’assalto della meccanicità del quotidiano.
Le sirene nel traffico di Roma divampano come fiamme, come gatti in calore si raschiano la gola, mentre attorno la gente scorre. Giovedì 19 gennaio la distribuzione salta; un volo, con sei ore di ritardo, disarticola lo svolgimento, rinviandolo. La giornata seguente schiude un cielo denso. La distribuzione ha inizio. Primo impatto presso La Sapienza, le Schede deflagrano la facoltà di Lettere e Filosofia tra l’indifferenza e la curiosità. Gli studenti le accolgono con riserbo. Poi. Il Colosseo ci scorre addosso, s’alza alle nostre spalle, in un via vai di turisti, piccole macchie che s’addensano sotto la sua ombra. C’è curiosità verso le Schede che s’animano in un gioco fra il mimo e il letterario, incastrate fra le sollecitudini del corpo-testo che le sostiene. Il pomeriggio è quello degli assalti. Escoriazioni poetiche vere e proprie. La Feltrinelli in Largo di Torre Argentina è uno spazio che richiama a sé moltitudini in attesa. Chi di un libro, chi di un incontro inatteso, chi di un tram stanco per tornarsene a casa e non saperne di nulla. Le moltitudini in attesa sono un muso duro, un muro scolpito lungo secoli, e non rispondono al richiamo, allo sguardo, all’altro che s’accosta e smuove. C’è una patina di polvere da ripulire dalle attese di questa società stanca, poggiata su luoghi comuni tutti italiani, rimuginati nel tempo e mai realmente manifesti. C’è chi se li porta addosso, dentro, e li lascia fluire solo in determinate situazioni, mentre per il resto del giorno si scopre nella dimensione ipocrita del buonismo. C’è chi guarda, non accoglie e non risponde, e resta lì a fissarti nello sguardo che non produce nulla, per minuti, buoni minuti. Moltitudini d’indifferenze, nello spazio di Largo di Torre Argentina, ci portano ad essere, ad assaltare il caffè Feltrinelli, al piano superiore, con le Schede che s’intrecciano e propongono, a forza, a coprire le letture disinteressate di quanti impegnati, fra libri e caffè, a sostenere l’aria intellettualmente impegnata. La gente risponde. Legge, discute con vigore delle Schede, abbandonando le proprie letture ordinate, si getta a braccia aperte nell’imprevisto che a forza compare davanti ai loro occhi. Poi. La sicurezza, e via da Feltrinelli, direzione Teatro Valle Occupato. Un’assemblea in corso ci spinge a tornare il giorno seguente. Si riprende il filo da Largo di Torre Argentina. La Feltrinelli appare come un forte da espugnare. Le schede si infiltrano nuovamente all’interno del suo caffè e la gente, meraviglia negli occhi, accoglie ancora il comparire letterario che prontamente sostituisce le distratte letture. Toccata e fuga. Un attimo. Un gesto. Un momento. Una signora anziana, col suo volumone di arte e critica, ci guarda dall’alto, appena entrati. Lo sguardo ch’è «una carezza d’infinito» (A. L. Verri). Era lì anche il giorno prima. Ci segue con gli occhi ed aspetta una scheda, probabilmente diversa da quella ricevuta il giorno prima. E poi via, prima che arrivi la sicurezza a recuperare il ritardo del giorno precedente. Il Teatro Valle Occupato attende le schede. Vengono accolte con molta disponibilità. Non ci si poteva aspettare altro da una tempesta culturale e sociale del genere. Altri luoghi. Altri incontri giù nel metrò. Domenica. Giufà – Libreria Caffè a San Lorenzo – è un incontro totale col libro, con la pagina scritta e la sua produzione. Ancora. Campo de Fiori e Fahrenheit 451. Le Schede si aprono al contatto che non richiede l’intrusione, la forzatura, ma è accoglienza, apertura. E poi si cambia Feltrinelli. È il turno del caffè della libreria Feltrinelli presso la Galleria Alberto Sordi, in via del Corso. Lo scenario è ancora una volta quello di una moltitudine distratta, troppo impegnata a recitare un ruolo, affaccendata in letture troppo ordinate per essere vere, o forse semplicemente in attesa che qualcosa di diverso accada nello svolgersi delle sue giornate seriali. Così, il meccanismo è lo stesso, ancora una volta, entrata veloce, toccata e fuga. La gente risponde bene, accoglie le schede, legge e discute, fino ad un certo punto. C’è un signore anziano, in compagnia di una ragazza, e spocchiosamente chiede di cosa si tratti, e sentendo parlare di Schede Letterarie risponde “Ma sono della libreria?”. Il “No” era ciò che non voleva sentirsi dire. S’aspettava il marchio Feltrinelli, lui, per recitare meglio. Per chiudersi ancor di più nell’indifferenza. Risponde “Allora vi prego di riprendervi le vostre Schede e lasciarmi alla mia piacevole conversazione”. Non c’è nemmeno il tempo di pensare, di mettersi lì a discutere, che, lasciato ai suoi convenevoli il signore spocchioso, completiamo la distribuzione e poi via, in strada, in Via del Corso. Immobili fra la gente, con le schede che coprono il viso, in tre (due immobili ed una a distribuire) completiamo il flusso, il molteplice s’attira da sé alla vista dello spettacolo a metà, ancora, fra mimo e letterario, dove le parole si tendono all’altro, dall’intimità numerica delle nostre sensazioni, estasiata dal moltiplicarsi del molteplice che guarda, osserva attentamente, parla, discute, ride, sorride, timidamente si avvicina, chiede informazioni, prende le Schede, a volte le restituisce, anche, ma è coinvolto, si smuove dalla routine meccanica degli abbracci e saluti scontati, disarticola il passo e cerca un contatto diverso, imprevisto appunto. Diverso dalla spocchiosità del signore che, poco prima, era come se avesse implicitamente affermato che col marchio Feltrinelli sulle nostre Schede, magari non le avrebbe lette comunque, ma avrebbe, almeno, compiuto lo sforzo di tenerle in bella mostra al suo tavolo, per meglio intrattenersi in conversazioni da finto intellettuale, ché l’apparenza comunicazionale di oggi ci precede, sostituisce l’individuo, che narcotizzato lascia il posto alla recitazione di improponibili “vorrei”. Ora che ho la luna di fronte, un paio di preghiere livide s’abbozzano sui sorrisi dei passanti. Il cuore. Ha per suono una granata inesplosa.
Cristiano Caggiula, Francesco Aprile, 2012-01-22
_documentazione fotografica a cura di Roberta Gaetani